A volte per essere ricordato in una piazza calcistica può bastare davvero poco. Un gol, un gesto tecnico, una cavalcata esaltante. Come quella della ‘meravigliosa stagione fallimentare’, ovvero la 2013/14. Se poi una parte delle tue origini si incrocia con un passato calcistico neanche così lontano nel tempo il gioco è fatto.
E’ il caso di Edgar Çani, attaccante classe 1989. Nato a Tirana – ma sbarcato a Bari assieme ad altri 20.000 albanesi nel 1991 – ha collezionato con la maglia dei galletti 14 presenze e 3 gol. Pochi, ma terribilmente pesanti: non solo il gol a Carpi, ma anche e soprattutto la doppietta contro il Novara. Decisiva per l’approdo ai playoff, poi persi contro il Latina. La nostra redazione ha avuto il piacere di intervistarlo. L’ex numero 9 biancorosso vanta anche un importante passato col Pescara, prossimo avversario in campionato del Bari. Proprio in Abruzzo, nella seconda metà degli anni 2000, è partita la sua carriera calcistica.
Buongiorno signor Çani. Bari e Pescara sono le squadre italiane più importanti della sua carriera. Per lei quella dell’Adriatico potremmo considerarla quasi una partita del cuore…
“Ho condiviso sicuramente grandi emozioni con entrambe le squadre. Il Pescara mi ha lanciato nel calcio italiano, qui ho fatto anche le giovanili, col Bari invece ho vissuto una stagione particolare dal punto di vista sportivo. Se non addirittura estremamente emozionante”.
E’ sorpreso dalla classifica di Bari e Pescara oppure i due club sono in linea con le aspettative di inizio stagione?
“Il Bari me lo aspettavo nei quartieri alti di classifica, soprattutto considerando la qualità della sua rosa. Sono diversi anni che sta facendo bene, in città che una grande voglia di fare il salto di qualità. Spero che questo sia l’anno giusto. Quanto al Pescara, beh…mi aspettavo qualcosa in più. In generale tutte le squadre che retrocedono dalla A tendono a fare meno fatica. Auguro tuttavia agli abruzzesi di raggiungere al più presto la salvezza”.
Sarri e Camplone: due allenatori importanti conosciuti agli inizi della carriera. Proprio in biancazzurro.
“Sarri è un buon allenatore, lo conobbi ai tempi delle giovanili. Camplone invece lo conosco meglio, ho un buon rapporto e ci sentiamo spesso. Mi ha trasmesso tanto sotto tutti i punti di vista. Quando è approdato a Bari nel gennaio 2016 lo telefonai per complimentarmi con lui. Bari è sempre una piazza importate e con aspettative alte, imporsi non è facile. Ma le emozioni che il ‘San Nicola’ ti trasmette sono tanto uniche quanto incredibili”.
Cosa vuol dire giocare nel Bari?
“Ho vissuto diverse fasi durante la mia permanenza a Bari. La prima non fu affatto una delle migliori. La squadra era quartultima, a gennaio la situazione non era molto comoda. Non ci restava che fare gruppo e raccogliere tutte le forze necessarie per raggiungere la salvezza il prima possibile. La passione che poi abbiamo respirato non c’era ancora. Poi, fortunatamente, si è sbloccato tutto. Il fallimento ha rappresentato praticamente una liberazione, da li è partito tutto. La Serie A era vista come un sogno, ma in campo volevamo fortemente dare il massimo”.
Vestire la maglia biancorossa per chi sbarcò a Bari nel 1991 con la Vlora non deve essere stata una cosa da poco. Quasi uno scherzo del destino, se vogliamo.
“Partiamo dall’inizio. Avevo firmato per il Bari in un momento molto particolare, a 20 minuti dalla fine della sessione invernale del calciomercato. Fui a colloqui con Angelozzi alle 22.40. Poche battute del direttore furono sufficienti a convincermi, fu tutto cosi travolgente. Tornando a casa e parlando con mia madre comunicai il mio trasferimento a Bari. Mi fu detto e ricordato tutto. Così iniziai ad appassionarmi alle mie origini ed a questa città. Il legame in essere era forte. Se col Novara, poi, avessimo mancato i playoff, non l’avrei presa bene. Avevo una voglia matta di disputarli, cosi come tutto il gruppo. I gol siglati mi hanno emozionato tantissimo, ho ripensato a tutto il mio percorso”.
La notte di Latina è stata la più emozionante e la più brutta allo stesso tempo. Era il giugno del 2014…
“Fu bello rivivere l’emozione, l’adrenalina, la tensione. Ma degli errori arbitrali ci penalizzarono e non poco. Fu una grande delusione, ma i tifosi apprezzarono il nostro sforzo e ci fecero sentire degli eroi”.
Il ds Angelozzi, per quel gruppo, cosa ha rappresentato?
“Era come un padre perché quella squadra, fondamentalmente, era il suo gruppo. Ci ha sempre dato una mano e ci è sempre venuto incontro. Eravamo tanti giovani. Lui sperava in primis di centrare la salvezza e poi di creare un gruppo in grado di crescere col passare del tempo. E’ stata una grande persona dal punto di vista umano e professionale”.
Enorme, sicuramente, il rammarico per la mancata permanenza…
“Volevamo restare tutti, Bari è stata la nostra casa. Uscivamo sempre in gruppo, eravamo diventati una famiglia. Ogni giorno era vissuto con gioia. Eravamo più di una semplice squadra. La riconferma, per tutti, sarebbe stata una cosa grandiosa. La società purtroppo cambiò e fece le sue scelte. Personalmente speravo di restare, inutile negarlo. Tuttavia, con quel gruppo, ancora oggi ci scambiamo messaggi ed informazioni. Abbiamo un gruppo whatsapp”.
Anche adesso a Bari c’è un calciatore albanese. Si tratta di Basha. Lo conosce?
“Si. Lo conosco e anche bene, ho un buon rapporto. E’ un bravissimo ragazzo ed un ottimo calciatore, la sua carriera del resto parla chiaro. Bari non è una piazza di B, per lui ha rappresentato la prima scelta quando si è paventata. Gli auguro il meglio e gli faccio un grande in bocca al lupo”.
Veniamo al suo presente, che si chiama Partizan Tirana. Spera da qui di poter tornare a vestire anche la maglia della nazionale albanese?
“Il Partizan è una squadra molto titolata in Albania. Parliamo di un club in costruzione, c’è molto da lavorare. Adesso ho qualche problema fisico, tuttavia sono molto contento e punto al massimo. Sono ovviamente contento dei risultati della nazionale, questa squadra può dare filo da torcere a tutti. Ora c’è Panucci, gli auguro il meglio. E, naturalmente, spero di poter tornare anch’io in nazionale. manco da un po’”.
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