Come nel più drammatico dei thriller. Tutto è finito esattamente dov’era cominciato, per Giampiero Ventura: Milano, stadio ‘San Siro’, la scala del calcio. Insieme, da ieri, si sono incontrati il punto più alto e quello più basso della sua carriera da allenatore. Dal Bari alla Nazionale, un viaggio lungo 8 anni. Nel mezzo anche una proficua esperienza nel Torino, riportato in Europa dopo vent’anni e nel 2014.
LUCI A SAN SIRO – Fa male, tanto male, ripensare a quel che è stato il tecnico genovese ed a ciò che invece è adesso. Almeno dal punto di vista di un tifoso del Bari. E’ ancora nella memoria collettiva quel 23 agosto 2009. Un Bari dato per spacciato da tutti: bookmakers in primis. Lui però ci credeva, era convinto di poter “mettere in imbarazzo Mourinho”. Ci riuscì, con un 1-1 contro i futuri campioni d’Europa dell’Inter che poteva convertirsi in vittoria. Non male per uno che qualche mese prima aveva ‘rischiato’ di restare in B e ripartire dalla Triestina. A fine campionato arrivò il decimo posto in A con record di punti (50), prima del crollo nel torneo successivo. Nessuno in precedenza era riuscito a fare di meglio dal 1946/47 (stagione del 7° posto, ndr). Quindi la rapida risalita col Torino sino al ritorno dei granata in Europa League. A lui inoltre il privilegio di essere stato il primo a far trionfare a Bilbao una squadra italiana.
OMBRE A SAN SIRO – Già, le convinzioni. Le stesse che ha provato ad ostentare in azzurro sino in fondo, pur non avendone mai avute per davvero. Quel “andremo al mondiale” è un’espressione che verrà ricordata a lungo, già inizia a suonare come beffarda. Anche qui, così com’era capitato in biancorosso, Ventura ha rilevato Conte: ma se in Puglia fu determinante la continuità del progetto tecnico-tattico, in nazionale il vero peccato originale si è verificato nel voler cercare ad ogni costo una nuova idea di calcio. Come? Ragionando come un club e senza tenere conto dell’inadeguatezza degli interpreti a disposizione. Così sono nate la vittorie sofferte contro Albania, Israele o Macedonia, la sconfitta contro la Spagna ed il fatale incontro dell’andata a Stoccolma contro la Svezia. Il ‘sacro furore’ di ieri è arrivato troppo tardi, grinta ed orgoglio talvolta non bastano. Il tecnico genovese dopo la disfatta di Madrid ha percepito con mano tensione e nervosismo, ha perso la bussola: ai tempi del Bari significò la fine della sua epopea, in azzurro è successa esattamente la stessa cosa. Questione anche di mimica e sguardi, gli occhi valgono più di mille parole. Corsi e ricorsi storici.
E’ IL CANTO DEL CIGNO DOPO 8 ANNI – La stessa persona, lo stesso allenatore, due volti diversi. La Nazionale aveva rappresentato un premio per quanto seminato in carriera: un’opportunità figlia – oltre che della gavetta dei primi tempi – soprattutto del miracolo in terra di Bari e che è stata malamente sprecata. Ieri, 13 novembre 2017, l’Italia sportiva ha perso, tutti in ginocchio. E non solo contro la Svezia. A 69 anni (è nato nel 1948, ndr) treni del genere non ne passeranno più. No, non doveva finire così, Giampiero. Arrivederci ‘mister libidine’…
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