Quando una squadra come il Bari non raggiunge l’obiettivo della serie A e addirittura non riesce neanche a giocarsela fino alla fine centrando almeno i playoff, è difficile non parlare di fallimento. Un fallimento però che va pesato a vari livelli. Quanto accaduto in questa stagione deve essere filtrato serenamente affinche il giudizio non sia condizionato dalle scorie prodotte dalla rabbia e dalla delusione del momento.
IL PRESIDENTE – Giancaspro ha l’indubbio merito di aver risollevato le condizioni di un club che circa un anno fa presentava molte criticità dal punto di vista economico, ma paga inevitabilmente lo scotto dell’inesperienza. Non è facile guidare da neofita una società di calcio in una piazza tanto calorosa, quanto complicata, come quella biancorossa eppure, tutto sommato, ha fatto il proprio dovere affidandosi a gente navigata e di comprovata esperienza (vedi Sogliano). L’imprenditore molfettese ha probabilmente capito in quale direzione bisogna andare e gli errori commessi gli serviranno certamente da lezione per aggiustare il tiro, ma bisogna dargli del tempo per attuare dei programmi che, razionalmente parlando, possono essere solo a medio-lungo termine.
IL DIRETTORE SPORTIVO – Sean Sogliano ha provato in tutti i modi a costruire una rosa competitiva e probabilmente ha inizialmente pagato il non grande feeling con un allenatore (Roberto Stellone) che, per recente ammissione dello stesso ex tecnico romano, ha “un modo diverso di vedere il calcio“. A gennaio ha corretto le operazioni iniziali mettendo a segno diversi colpi di mercato e col senno di poi, visto l’esito della stagione, è facile dire che abbia sbagliato. Con la massima onestà intellettuale non bisogna però dimenticare che calciatori come Floro Flores, Galano, Morleo, Parigini, Greco e Salzano sono da considerarsi di livello tutt’altro che mediocre e sono stati accolti con grande entusiasmo ed ottimismo un po’ da chiunque, tifosi ed addetti ai lavori. Ad inizio anno, i galletti erano considerati sulla carta tra i favoriti alla vittoria finale e questo significa che, almeno nelle intenzioni, il lavoro svolto è stato quanto meno dignitoso. Per forza di cose, quello prossimo dovrà essere per il dirigente piemontese l’anno del riscatto.
GLI ALLENATORI – Mister Stellone non ha mai convinto sino in fondo e la sua parentesi pugliese ha vissuto davvero pochi momenti positivi. Probabilmente non è riuscito a calarsi completamente nella nuova realtà e ha dimostrato anche poco carattere nel gestire il momento di difficoltà. Stefano Colantuono è riuscito, dopo il suo arrivo, a riportare la squadra in zona playoff e fino alla vittoria interna contro il Frosinone, non gli si può rimproverare molto. Dalla gara di Trapani in poi è cominciato il repentino declino. Un cambiamento di rendimento inspiegabile riassumibile in quasi 0,5 punti a partita, sole 4 reti fatte (una su rigore) e 14 subite. Un crollo verticale al quale il tecnico romano non ha saputo far fronte efficacemente. Non mancano le attenuanti, come l’incredibile sfilza di infortunati, ma da un allenatore di livello come lui ci si aspettava francamente molto di più. Non ha saputo trovare alternative valide agli indisponibili (in termini di gioco e di ricambi), non ha saputo tenere alte le motivazioni (la squadra è spesso sembrata smarrita, senza idee e quasi mai davvero convinta e concentrata a raggiungere certi risultati) e ha finito per rendersi antipatico alla tifoseria con un atteggiamento sempre molto educato e rispettoso, ma probabilmente pregiudicato da dichiarazioni ripetitive, deresponsabilizzanti e non sempre compatibili con la realta oggettiva che si stava palesando agli occhi di tutti, meno che ai suoi.
LA SQUADRA – Dopo una stagione simile, lanciare critiche sui calciatori sarebbe come sparare sulla croce rossa. Sono davvero in pochi a meritare la sufficienza, quanto meno per la costanza di rendimento, e nessuno vuole mettere in dubbio la loro professionalità. Siamo certi che tutti gli elementi della rosa abbiano sempre dato il massimo, ma i risultati sono stati davvero scadenti e gli occhi sempre molto attenti ed esigenti dei tifosi non sono riusciti a cogliere tutto questo impegno e questa abnegazione. Senza entrare in questioni tecniche, che lasciano il tempo che trovano, il limite principale dei galletti è stato probabilmente il carattere. Fermo restando che i mezzi ci fossero a sufficienza, è mancata quella molla e quell’approccio mentale che poi fa la differenza e segna il limite tra l’eccellenza e la mediocrità. Nel calcio come nella vita.
I TIFOSI – Altro che fallimento! I sostenitori del Bari questo campionato l’hanno vinto e anche alla grande. Più di 10mila abbonati ed una media di 16mila presenze ad ogni gara, per non parlare del sempre massiccio sostegno fuori casa. Numeri decisamente da serie superiore. In questa sede però non è importante sottolineare il proverbiale attaccamento ai colori e la consolidata passione della piazza, quanto la sua maturità. In altri tempi e in altre città, in situazioni simili sarebbero volati ben altro che cori di scherno e di semplice dissenso. Una maturità ormai raggiunta, e dimostrata con i fatti, che fa onore ad una tifoseria avvezza a fare sempre e comunque il proprio dovere. L’ultima dimostrazione di questo l’hanno fornita i temerari che sono andati anche a Ferrara in occasione di una gara senza obiettivi e senza motivazioni. Chiunque indossi la maglia biancorossa dovrebbe sempre tenere bene a mente chi ha l’onore di rappresentare.
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