Il Bari, i suoi tifosi e la paura di abituarsi alla mediocrità

Il sogno di tornare tra le grandi e la realtà di eterna incompiuta: il Bari non riesce a decollare. Si riparta dal senso d'appartenenza


Un’altra stagione cadetta volge al termine, per il Bari ancora una volta deludente. Ritenere fallimentare un dodicesimo posto con soli 53 punti è il minimo rispetto a due fattori: gli obiettivi iniziali – quantomeno i playoff – e la tradizione storica dei pugliesi. Non quella recentissima, però. Dal 2001 ad oggi in casa biancorossa il rapporto tra le gioie ed i dolori è troppo sproporzionato a favore dei secondi. Tolta la promozione in A con Conte (2008/09), l’anno successivo con Ventura (2009/10), l’annata del fallimento (2013/14) ed in parte lo scorso torneo (che piaccia o meno, è il secondo migliore in B del nuovo millennio), i galletti hanno sempre e solo stazionato a metà classifica in Serie B, spesso nella parte destra. Tra salvezze all’ultima giornata, retrocessioni, fallimenti, scandali scommesse, presunti magnati esteri, tornei semplicemente anonimi e ripescaggi dalla C1 (come dimenticare lo spareggio col Venezia?) il quadro è semplicemente desolante. Un insulto ad una piazza numerosa ed affamata di calcio.

I tempi cambiano e con esso tutto ciò che ci circonda. Ed il Bari non sembra conoscere pace, il declino calcistico appare progressivo. Il timore più grande è che il consolidarsi di continue delusioni possa essere accettato passivamente, senza avere la forza di cambiare registro. Come se fosse normale. C’è un ridimensionamento in tante cose. Te ne accorgi da quei giocatori che dicono di soffrire le pressioni (?) di una piazza comunque esigente e calorosa, o da quelle sfide ritenute sentite: ieri erano Napoli, Foggia, Taranto, Lecce o Palermo, oggi qualcuno parla di derby del sud con Avellino, Frosinone o Crotone. “Ormai ci siamo abituati, prendiamone atto” il loro leit-motiv. Cosi come l’aver rimediato magri bottini contro piccole realtà come Albinoleffe, Gubbio o Cittadella. Dalle sfide contro Genoa e Samp a quelle contro Spezia o Virtus Entella (detto col massimo rispetto per tutte le suddette realtà, arrivate tra i cadetti grazie ad un progetto), da quella scemata voglia di ambizione e sognare che sembrava riaffiorata nei cuori dei tifosi biancorossi soltanto poco tempo fa. Dall’essere passati da Ranocchia-Bonucci agli interpreti attuali. E l’aver idolatrato giocatori che, qualche tempo fa, avrebbero potuto trovare posto solo in panchina. Ma anche da una scarsa conoscenza della storia, molto spesso ignorata: perchè molti dimenticano che tra alti e bassi, dopo il Napoli, il Bari è la squadra che nel Sud Italia vanta più partecipazioni al campionato di A (30, come il Vicenza), tre semifinali di Coppa Italia ed una Mitropa Cup. Per non parlare dei tanti giocatori esplosi o finiti in Nazionale: da Costantino passando per Moro, Conti, Catalano, Maiellaro, Joao Paulo, Platt, Protti (capocannoniere…), Masinga, Cassano o Bonucci (appunto). Naturalmente il paragone sarebbe fuorviante con le grandi del calcio italiano, ma non stiamo parlando neppure di un’anonima realtà di periferia. Il meglio del passato non va mai rinnegato e deve essere sempre un punto di partenza per un futuro migliore. E’ per questo che il meritare di più non dovrebbe restare solo una frase fatta (detta, stra-ripetuta da tanti ex) ma un monito per raggiungere davvero palcoscenici più consoni. Serve baresità.

Nel calcio per vincere devono incastrarsi una serie di fattori: ambizioni, progettualità, programmazione, disponibilità. Ed a causa degli insuccessi dei pugliesi ultimamente quasi si fa a gara ad indicare modelli di riferimento per risorgere: non ultime le tanto decantate Carpi, Pescara o Spal, appena promosso in A. Ebbene, a furia di sembrare un paradosso, anche questo sarebbe ridimensionamento e mediocrità. Si, perchè Bari non è una piazza come tante altre ed ha bisogno di un suo modello, di un suo metodo autonomo di crescita. Copiare gli altri non serve, è inutile. Ci è riuscita in passato (si pensi, ad esempio, a quanto di buono è stato fatto soprattutto con Regalia o Perinetti), può rifarlo ancora e con ottimi risultati. Lo dice la storia, appunto. Se c’è bontà in quello che si semina, il raccolto sarà all’altezza. E da questa stagione bisognerà trarre insegnamenti importanti: da parte di chi costruirà la squadra che verrà e da parte di coloro che scenderanno in campo saranno fondamentali competenze, qualità ed un minimo di spirito di appartenenza alla causa del galletto. Cosa, quest’ultima, che quest’anno è mancata spesso.






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Collaboratore ed aspirante Pubblicista. Si occupa di qualsiasi argomento attinente al calcio di Bari e Provincia

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